La solitudine che non si osa
sondare
e che si vorrebbe indovinare.
Emily Dickinson, Poesie (1863 – 1864)
Se c’è una condizione che accomuna le madri oggi, nella nostra società, questa è certamente la solitudine.
Scrive Bowlby, psicoanalista, teorico dell’attaccamento, nel 1989, :
“ Voglio anche sottolineare che, nonostante pareri contrari, occuparsi dei neonati e di bambini non è un lavoro per una persona singola.
Se il lavoro deve essere fatto bene e se si vuole che la persona che primariamente si occupa del bambino non sia troppo esausta, chi fornisce cure deve a sua volta ricevere molta assistenza. […] Paradossalmente ci sono volute le società più ricche del mondo per ignorare questi fatti fondamentali.
Le forze dell’uomo e della donna impegnati nella produzione dei beni materiali contano come attivo in tutti i nostri indici economici. Le forze dell’uomo e della donna dedicati alla produzione, nella propria casa, di bambini sani, felici e fiduciosi in se stessi, non contano affatto.
Abbiamo creato un mondo a rovescio.“
Da questa affermazione di Bowlby emergono due aspetti fondamentali della nostra epoca:
- la totale mancanza di una struttura sociale che sia in grado di rispettare gli spazi necessari per la crescita e per la cura;
- il valore dell’infanzia oggi e la relativa richiesta educativa: educare i figli alla felicità.
Ma cosa vuol dire educare alla felicità?
E soprattutto, può chi ha questo compito riuscirci in una condizione di solitudine, di mancanza di spazi di condivisione, di comprensione?
Non siamo forse oggi, dopo che nel secolo scorso abbiamo scoperto l’importanza delle esperienze infantili, chiamati tutti a riflettere profondamente su come sia necessario far evolvere le nostre comunità al fine di non lasciare sole le donne dal momento in cui nasce il figlio?
Sono profondamente convinta che le comunità possano evolversi solo a partire da una prima presa di consapevolezza che si trasformi poi nella volontà di farsi portatori di un messaggio.
Prima che i grandi gesti, sono i piccoli e i quotidiani atti che fanno davvero la differenza e che possono, sommandosi, creare una crepa nella struttura in cui siamo immersi.
E sempre i piccoli atti nascono come risposte a domande nuove, domande in grado di aprire il futuro.
Che cos’è questa felicità a cui siamo chiamati? Quale disarmonia ho rispetto a ciò che mi circonda?
Di cosa mi parla questa solitudine che avverto in certi momenti?
Ci sono tante, tantissime nuove domande in cui abitare.
Abbiamo tutti bisogno di atti di coraggio e di gentilezza per affrontarle, coscienti che è nelle risposte che daremo giorno dopo giorno che costruiamo la nostra personale rivoluzione.
Tu? In quale domanda stai già abitando? E in quale nuova domanda vorresti abitare?
Lisanna