La vita è costellata da momenti di rottura che richiedono, per essere superati, di affrontare lo sforzo di trasformare la propria identità. Il divenire madre sicuramente si configura come uno di questi momenti di crisi nei quali l’equilibrio psichico che era stato raggiunto fino a quel momento irrimediabilmente si spezza ed emerge la necessità di una completa ristrutturazione interna per fare spazio al nuovo.
Non è qualcosa che avviene all’improvviso, ma si tratta di un cammino, un’esperienza interiore unica, nella quale i piani temporali si mescolano. Così, benché la donna sia proiettata verso il futuro, accade che il passato riemerga prepotentemente nel presente, riacutizzando i conflitti della propria esistenza – in particolar modo quelli legati alla propria infanzia e alle relazioni con le figure di riferimento affettivo. I dolori e le ferite che – inevitabilmente – tutti abbiamo conosciuto e che sono stati spesso accantonati a favore della vita, ritornano improvvisamente attuali e contribuiscono a colorare l’esperienza, mescolandosi prima con l’immaginario futuro di come sarà il bambino e di come si sarà come madri e poi nella realtà della relazione che si va costruendo.
Ogni donna dunque porta con sé un’eredità psicologica inconscia che diviene parte della relazione, la anima e la guida. Jung scrisse che “ogni donna contiene in sé la propria madre e la propria figlia“. E ancora, secondo la psicoterapeuta Selma Fraiberg “nella stanza di ogni bambino ci sono dei fantasmi. Sono i visitatori del passato non ricordato dei genitori. I fantasmi rappresentano la ripetizione del passato nel presente”. Questi “fantasmi” appartengono ad ogni essere umano e si costituiscono come mattoncini a fondamento di una casa, ossia della propria identità.
Ma che ruolo assumono questi nella relazione materna?
Potremmo dire che ogni donna che diviene madre accade a se stessa in un determinato modo, ossia si descrive da sé – e vive- all’interno di una conversazione privata e intima che la definisce. I “fantasmi” prendono vita allora nell’attribuzione di significato degli eventi e dunque nella prospettiva unica sul mondo e sulla relazione -in particolar modo sulla relazione di cura- che ogni madre è.
La loro presenza è dunque funzionale nella misura in cui guidano l’agire a patto che la donna non li ignori, li conosca e- senza temerli- sia in grado di confrontarsi con essi. Il divenire genitori, ed innanzitutto adulti allora, passa dal fondamentale -benché non sufficiente- passaggio alla consapevolezza di sé: ricordare e recuperare l’antico dolore è il primo passo per riconoscere il passato nel presente e la sua influenza sul futuro.
Questo passaggio alla consapevolezza di sé non può che iniziare dall’aprirsi alla possibilità di porsi nuove domande così da potersi mettere alla ricerca di nuove risposte.
Ecco allora alcune domande che sono sicura possono essere da stimolo per aprire alcune porte e iniziare a scoprire cosa c’è al di là del “muro di recinzione”:
Che bambina sono stata? Che madre ho avuto? Come si è presa cura di me?
Che episodi di sintonia, cura e amorevolezza ricordo? Quali sono invece gli eventi di rottura?
Quando mi sono sentita sola, triste, arrabbiata?